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Quando il magma si ferma: quei meccanismi che svelano l'arresto dei "dicchi" laterali dell'Etna

Si chiamano meccanismi focali inversi: un indicatore sismico per prevedere quasi in tempo reale la colata proteggere le comunità attorno al vulcano

Fabio Russello

19 Dicembre 2025, 11:00

Quando il magma si ferma: quei meccanismi che svelano l'arresto dei "dicchi" laterali dell'Etna

Etna, eruzione

Etna, capire la corsa del magma nel sottosuolo è decisivo per gestire l’emergenza. In particolare, durante le crisi eruttive, risulta cruciale stabilire se e come il magma stia avanzando in profondità, soprattutto quando si innescano intrusioni laterali potenzialmente pericolose.

Questi dicchi magmatici, che si insinuano lungo fratture della crosta terrestre alimentando possibili eruzioni di fianco a quote più basse, rappresentano il principale fattore di rischio per centri abitati e infrastrutture attorno al vulcano.

In tali frangenti, la domanda chiave per la Protezione Civile è se l’avanzata del dicco sia prossima ad arrestarsi oppure destinata a proseguire verso valle.

Prevedere in tempo reale l’evoluzione di un’intrusione laterale è una delle sfide più complesse della vulcanologia operativa”, spiega Alessandro Bonaccorso, dirigente di ricerca dell’Osservatorio Etneo dell’INGV.

“In recenti studi abbiamo affrontato il problema analizzando il bilanciamento energetico tra l’energia associata all’apertura del dicco e quella rilasciata sotto forma di sismicità”.

Di norma, la risalita del magma genera un campo di sforzi estensionale, che si manifesta con terremoti a meccanismo focale diretto (distensivo). La comparsa di eventi con meccanismo inverso, tipici di un regime compressivo, è invece rara in questi contesti.

“La presenza di meccanismi inversi indica che la spinta del magma incontra una resistenza crescente, tale da rallentare e potenzialmente arrestare la propagazione”, sottolinea Carla Musumeci, ricercatrice dell’INGV.

L’analisi di diversi episodi storici dell’Etna – dalla crisi del 1989 all’eruzione del 2002, fino agli eventi del 2008 e a quelli del dicembre 2018 – restituisce un quadro coerente: il tratto terminale delle intrusioni laterali che non raggiungono la superficie è sistematicamente contraddistinto dall’emergere di meccanismi focali inversi, mentre questi risultano assenti nelle fasi iniziali o nei casi di risalita verticale del magma.

Emblematico l’episodio del 2002, quando l’Osservatorio Etneo, in un momento di forte preoccupazione per una possibile propagazione verso aree densamente popolate, interpretò la comparsa di tali segnali sismici come indizio di un imminente arresto del dicco: un’ipotesi allora giudicata audace, poi confermata dai fatti.

Secondo lo studio, l’insorgere dei meccanismi inversi è legato a un mutamento del campo di stress nella porzione di testa del dicco, probabilmente associato ai processi di raffreddamento e solidificazione del magma, che favoriscono condizioni compressive.

“Quello che emerge è un indicatore semplice ma estremamente efficace”, conclude Elisabetta Giampiccolo, ricercatrice dell’INGV. “I meccanismi focali inversi non sono un’anomalia, ma un segnale chiave che consente di riconoscere il potenziale arresto di un dicco in near-real time, offrendo un supporto concreto alle decisioni operative durante le crisi eruttive”.

L’approccio proposto si fonda esclusivamente su dati sismici, risultando rapidamente applicabile anche dove le reti di monitoraggio geodetico sono meno sviluppate.

Un risultato che rafforza il ruolo della sismologia nella sorveglianza vulcanica e nella mitigazione del rischio, contribuendo direttamente alla sicurezza del territorio etneo.