Il racconto
Ciminiere, quel pezzo di storia che odora di zolfo e che ora non può rischiare di restare un rudere
È stato il progetto più importante che sia stato realizzato da decenni, al centro della "tangentopoli" catanese ma anche della grandiosa visione dell'architetto Giacomo Leone
Il complesso delle Ciminiere è il più importante intervento urbanistico e architettonico effettuato in città da decenni. Nasce da un’idea dell’architetto Giacomo Leone che, negli anni Settanta, da presidente della commissione urbanistica comunale, aveva individuato questo luogo tra quelli centrali per lo sviluppo di Catania insieme a Librino e alla fascia che va dalla stazione e dal porto fino a corso dei Martiri, quella che a suo avviso sarebbe dovuta diventare la «dorsale della cultura». In quest’ottica - in un tempo in cui l’accademia guardava al palazzo delle Poste, ora demolito, come al modello del moderno, e considerava le vecchie raffinerie di zolfo materia cava da buttare - Leone studiò ed effettuò a sue spese il rilievo di tutta l’area delle Ciminiere così ché, quando a fine anni Ottanta l’allora Provincia decise di realizzarvi un centro fieristico, aveva già le idee chiare. L’elaborazione del progetto, dunque, fu veloce. Negli anni 90 la realizzazione, segnata dalla Tangentopoli catanese che coinvolse politici e imprenditori.
L’area in questione è quella in cui, nella seconda metà dell’Ottocento, nacque l’industria siciliana dello zolfo che, estratto nelle miniere dell’interno, attraverso la rete ferroviaria costruita appositamente, veniva trasportato negli impianti di molitura, stoccaggio e trasformazione di Catania. Da qui lo zolfo veniva imbarcato e esportato in Gran Bretagna, Francia e Austria. Un’attività che rese ricca la città. Nel secondo dopoguerra, il crollo con l’avvento dello zolfo americano a buon mercato. Gli edifici furono riutilizzati per la lavorazione degli agrumi e poi abbandonati, fino al progetto di riuso lanciato nel 1984.
Il complesso polifunzionale delle Ciminiere si estende per 27mila metri quadri, di cui 16mila coperti da edifici e la restante parte dedicata a verde, aree pedonali e strutture all’aperto. Si suddivide in tre parti che guardano all’oggi, al futuro e al passato. La prima, il centro fieristico, offre spazi espositivi per i prodotti artigianali e agricoli; la seconda è dedicata alla convegnistica, cioè alle frontiere del sapere, alla proiezione nel futuro nell’ottica di fare crescere il territorio; la terza parte è quella museale che aiuta a consolidare le tradizioni siciliane. Nel corso del tempo sono nati il museo delle antiche carte geografiche, quello del cinema, degli antichi strumenti di scrittura e il Museo dello Sbarco del 1943. Il complesso è concepito come una parte della città con la sua arena all’aperto, sotto cui esiste un teatro al chiuso poco utilizzato, la sua “strada” con pizzeria (a tal fine era pensato il forno a legna che si trova nel museo delle Carte geografiche), con il chiosco alla cui destra si apre il teatro all’aperto e a sinistra svettava l’immensa e poetica mole del “cutuliscio”, l’auditorium composto da due teatri sovrapposti di 600 e oltre 1000 posti. Un omaggio al mare che il fuoco ha divorato.
Un’area che l’architetto Giacomo Leone aveva pensato come un distretto urbano, aperto alla città e non chiuso da recinzioni, come di fatto è. Una grande innovazione è costituita dai giardini pensili sui tetti delle terrazze dei vecchi edifici in muratura e pietra lavica riprogettati con strutture in ferro. Una rievocazione degli antichi giardini pensili delle dimore gentilizie di città e quasi un’anticipazione del Bosco verticale di Boeri. Importante è segnalare che questi giardini sono stati approvati come standard a verde urbano, dunque la loro destinazione è vincolata a spazio pubblico e non possono essere rimossi se non realizzando altrove analoga area a verde.
Non si tratta di un progetto di archeologia industriale, ma di rigenerazione urbana, cioè di un insieme di funzioni architettoniche e sociali che consentono di rivitalizzare un’area degradata e abbandonata. Un progetto insieme architettonico, economico, finanziario e sociale. Un processo che si deve evolvere nel tempo con la corresponsabilizzazione della città e con la capacità di ascolto dell’amministrazione per soddisfare le necessità di un territorio in divenire. L’incendio che martedì ha distrutto il “cutuliscio” è un colpo al cuore della città, tanto più che avviene proprio quando il sindaco Trantino aveva deciso il rilancio delle Ciminiere costituendo a tal fine un tavolo tecnico che, dice adesso l’architetto Giovanni Leone, figlio di Giacomo, «deve diventare operativo per intervenire nelle dinamiche di trasformazione e aggiornamento nel rispetto del progetto architettonico di mio padre».
In questa prospettiva ha suggerito di realizzare una mostra permanente della storia delle Ciminiere, dall’estrazione dello zolfo fino alla sua commercializzazione e poi al progetto oggi finito. Per la sua realizzazione, ha offerto di regalare materiale da esposizione e il progetto per l’allestimento.
La cosa più importante è ricostruire l’auditorium, il grande ciottolo di mare, ed evitare che si riproponga la sconfitta che la città ha subito con l’incendio della raffineria comunale Zanuccoli che lo stesso Giacomo Leone, nel 2000, aveva trasformato in un centro delle arti e della cultura. Il 3 agosto del 2015 la struttura con il tetto a gradoni in rame, evocazione di un vulcano o di un drago preistorico, andò distrutta. Era da anni abbandonata sebbene fosse quasi completa. Allora il Comune e le forze politiche assicurarono che sarebbe stata ricostruita come prima. Non è stato fatto. Il suo rudere testimonia e denuncia il fallimento della città che adesso deve impegnarsi per scongiurare che questo tragico copione si ripeta.

