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musica

L'astronave dei Rockets ricomincia a viaggiare con "Some Other Space, Some Other Live!"

Per la band di Fabrice Quagliotti nuovo album dal vivo e tour invernale

Leonardo Lodato

24 Novembre 2025, 17:37

In concerto

I Rockets dal vivo fotografati da Gianfranco Gozzi

«Spazio: ultima frontiera. Queste sono le crociere della nave stellare Enterprise...».

Da Star Trek ai Rockets, ci sono ancora nuove galassie da esplorare. E lo sa bene Fabrice Quagliotti, risorto a nuova vita con la sua band, gli storici inventori dello Space Rock, che da pochi giorni sono di nuovo sugli scaffali dei negozi con un album dal vivo che arriva a 45 anni dal “Live” e a pochi mesi da un trionfale tour che vede i Rockets rinnovati, capaci di mischiare la tradizione di brani storici come “Galactica” e “One More Mission”, alle tracce rockettare, spinte, di “The Final Frontier”.

È lei, Fabrice, l’alchimista di questa nuova vita dei Rockets?

«Mi piace essere definito un alchimista ma non ho trovato la pietra filosofale. Diciamo che ho avuto fortuna. Nel frattempo, dopo “Time Machine”, abbiamo cambiato il cantante e Fabri Kiarelli ha portato un'evoluzione all'interno del gruppo».

Qualcuno dice che Kiarelli è un po' troppo frontman e offusca il resto della band.

«Io non sono un frontman. E quando c'era Christian? Il fatto di avere un cantante che si fa notare è un complimento. Se volessi fare io il frontman mi metterei davanti. Io invece domino tutto dall’alto. Sto in mezzo alle mie tastiere, e mi sta bene così. Adesso, da quando abbiamo anche Dan Quarto alla batteria, c'è un'energia pazzesca».

Come mai non avete inserito nella scaletta del nuovo tour brani tratti da “Time Machine”?

«Perché è un album di cover e non ci andava di fare roba non nostra. A parte “On the Road Again” che non può mancare».

On the Road Again”, brano dei Canned Heat, non la si può più considerare una cover.

«Ogni tanto ascolto l’originale e ci trovo dentro una grande magia».

Presenterete in tour brani storici, così avviene in “Some Other Space, Some Other Live!” - da oggi in vendita in due versioni da collezione, in edizione limitata e numerata, in vinile triplo - e una buona dose di “The Final Frontier”, il cui titolo richiama un disco degli Iron Maiden.

«Sì, abbiamo voluto creare un legame tra il rock duro degli Iron Maiden e il cinema di “Star Trek” dove ogni nuova galassia veniva definita l’ultima frontiera. Un miscuglio di fantascienza e rock. Fabri è molto rock e tanti brani si prestano alla sua voce perché sono belli duri. Mi è sembrato un connubio perfetto».

Difficile parlare, al giorno d’oggi, di frontiere, tra guerre e prepotenze disumane...

«Vivo in un mondo che non mi appartiene, è tutto una follia».

Lei è molto legato alla Russia, dove avete tanti fan.

«Ne abbiamo anche in Ucraina. Purtroppo i fan russi e ucraini non c'entrano nulla con questa guerra. Non l'hanno voluta loro».

Tornando alla musica, il tour invernale è stato un clamoroso successo. Ve lo aspettavate?

«Erano quarant’anni che non uscivamo con un tour e una produzione tutta nostra, e sono felice di aver trovato la Tube Music che ha creduto in noi».

Ai vostri concerti ci sono ragazzi che non erano neanche nati ai tempi di “Plasteroid”.

«Ad un concerto c’era una bambina di 7 anni accompagnata da papà e mamma. Tre generazioni, tutti truccati d’argento. Quando vedo queste cose penso che allora vale la pena andare avanti».

Nel live la copertina è dedicata ad Alain Maratrat che ha registrato le chitarre nel brano “Cosmic Castaway” contenuto in “The Final Frontier”.

«Erano tre anni che cercavo di farlo suonare con me. Non stava bene e non ci riusciva. Per me lavorare con lui è qualcosa di particolare. Alain è i Rockets, è l’anima della band. Quando ho scritto “Cosmic Castaway”, l’ho chiamato e gli ho chiesto di farmi le chitarre. C’è riuscito perché stava meglio. Ci sentivamo tre/cinque volte al giorno. Un’esperienza bellissima che porterò sempre nel cuore. La sua morte è stata una cosa straziante. Perdere due Rockets a tre mesi di distanza l’uno dall’altro, prima di Alain ci ha lasciato Christian Le Bartz, personalmente è stato devastante».

Il pubblico ha grandi aspettative da “Some Other Space, Some Other Live!”.

«E’ un live con le sue imperfezioni e deve essere così, non mi piaceva l’idea di modificare e correggere i suoni e devo ringraziare Michele Violante, il nostro sound engineer, che ha fatto un lavoro egregio».

Si riparte con il tour invernale. E la Sicilia?

«Partiamo a febbraio, nei club e non nei teatri perché volevamo un approccio diverso. Saremo più vicini al pubblico. La Sicilia? Non ci sono concerti già programmati ma noi vorremmo assolutamente venire e ritrovare i nostri fan che, sappiamo, sono ancora tantissimi».