×

L'intervista

L'attore Domenico Centamore: «Dei siciliani amo il senso di accoglienza. Non sopporto invece l'atteggiamento mafioso di tanta gente comune»

Il Peppe Piccionello di Makàri ha conquistato il grande pubblico: «Amo far ridere, se riesco a regalare un sorriso sono l’uomo più felice del mondo»

Ombretta Grasso

25 Novembre 2025, 20:05

Domenico Centamore

«Quando a 14 anni ho detto a mio padre che volevo andare a Roma a fare l’attore mi ha dato un buffetto  e con un sorriso mi ha risposto: “Non ti preoccupare, ora ti passa”. Come se fosse una malattia». Non è passata. Domenico Centamore, talento e simpatia, ha continuato a voler recitare. E da “I cento passi” in poi, tra cinema e tv, da caratterista di razza è arrivato al grande successo di “Makari”, la serie su Rai1 (già annunciata la quinta stagione) in cui è co-protagonista con Claudio Gioè, tratta dai romanzi di Gaetano Savatteri, con nel cast Ester Pantano e Tuccio Musumeci. Sabato scorso è stato premiato al Belpasso Film Festival. «Dedico tutti i miei premi  a mia madre, il mio primo ruolo lo creò lei, quando ero in terza elementare, a Carnevale non poteva comprarmi un costume e con un lenzuolo, una "mappina", mi vestì da crocerossina!»

Con la sua simpatia, l’umanità e le mitiche (e improbabili) magliette il suo Peppe Piccionello ha conquistato il grande pubblico.

«Sono legatissimo a questo ruolo, è la fortuna di un attore trovare un personaggio con questo carattere: simpatico, leale, genuino,  sempre di buonumore, dal cuore grande, se fossimo tutti Piccionello sicuramente non ci sarebbero più guerre. Mi somiglia in tanti aspetti, è il fratello che avrei voluto essere, ma Piccionello vive in una fiction, nella realtà non è così semplice. La bellezza della serie è anche questa, Lamanna e Piccionello sono due facce della nostra terra. Il mio personaggio è il classico amicone, sempre disponibile,   quello che ha anche la saggezza popolare dei siciliani. Il tono della serie è “leggero”, ma dentro ci sono tanti messaggi importanti, tanti spunti di riflessione».

Cosa ama di più del personaggio?

«È sempre in pantaloncini e infradito, una scelta che interpreto come un senso di libertà. Ed essere libero in Sicilia è una gran cosa».

Il pubblico la identifica con Piccionello, si sente prigioniero?

«Prigioniero? Mi sento fortunato! Potrei farne 12 edizioni, mi ha portato in prima serata su Rai1, mi ha dato popolarità... Lo amo perché attraverso Piccionello riesco a parlare bene della mia terra, a dare un'immagine positiva».

Makari presenta una Sicilia meravigliosa.

«Non è l’isola della coppola, della lupara, dei vestiti neri, dei soliti stereotipi, ci sono i telefonini, i computer, tutti parlano in italiano, c’è una Sicilia moderna, reale, quella che viviamo anche noi. Poi, fa vedere anche luoghi meravigliosi, tramonti e paesaggi emozionanti. Un biglietto da visita per i turisti. Sono profondamente innamorato della mia terra».

Cosa ama di più dell’Isola?

«Il calore, il nostro senso di ospitalità che abbiamo con i turisti ma anche con i migranti. In paese mi è capitato di vedere la vecchietta che porta la pasta con i broccoli ai giovani stranieri. Quando con la serie giravamo di notte, una signora del quartiere ci ha portato il tè caldo. Quelli della troupe che vengono dal nord restano scioccati. Poi, la capacità di sdrammatizzare, di ironizzare anche nei momenti difficili. E il nostro modo di sapere soffrire, resistere e reagire nei momenti più duri. Forse perché siamo stati abituati a soffrire, siamo stati sempre dominati».

E cosa non sopporta?

«La mentalità mafiosa, quella cultura, quell’atteggiamento che ha il siciliano comune che non fa parte della mafia, ma ha lo stesso quel modo di pensare. I siciliani se ne devono liberare. Non mi piace il provincialismo, vorrei una mentalità ancora più aperta. E poi pecchiamo di senso civico, c’è ancora chi butta a terra la carta, e invece il nostro paese, la nostra città, deve essere salvaguardata, curata come la nostra casa. Si dà spesso la colpa al Comune, all’assessore di turno, ma prima devono cambiare i cittadini».

Come cambiare?

«Bisogna studiare, crescere, imparare, impegnarsi, l’educazione civica si è un po’ persa. Stiamo costruendo un futuro di Grande fratello e Isola dei famosi che non può funzionare. Quando mi invitano nelle scuole suggerisco sempre agli insegnati, soprattutto per i ragazzini che hanno situazioni più difficili, di fargli provare teatro, arte, cinema. Solo la cultura può salvare».

Perché è rimasto a Scordia?

«Sono attaccato alle mie radici. Per la mia agente era una pazzia, mi diceva che rallentavo la carriera, che dovevo stare a Roma. Ho fatto la famosa gavetta, tanti sacrifici, partivo per i provini. Sognavo ma restando con i piedi per terra. A Scordia gestivo la cartolibreria di famiglia, e soprattutto avevo progetti personali, mia moglie, con cui sono sposato da trent'anni, poi i miei figli. Oggi posso dire che ho  fatto la scelta giusta».

Come ha iniziato?
«Mio zio aveva una compagnia amatoriale di teatro. Poi, ho avuto la fortuna di lavorare nel cinema con grandi autori, Giordana, Sorrentino, Tornatore, Munzi, Pif, Garrone, e sono arrivato alla tv, da “La meglio gioventù” a “Il capo dei capi”, da “Montalbano” a “La mafia uccide solo d’estate”».

Quando è arrivata la svolta?

«Sono legato a “I 100 passi”, il mio primo film, bellissimo, con un cast incredibile, diretto da Giordana. Tornerà in sala per i 25 anni dal 1° dicembre e andrò a vederlo con la famiglia, con i miei ragazzi. Quando i miei l’hanno visto hanno capito la mia scelta. Mia mamma disse: "mio figghiu, quello tosto dei cinque, è diventato un attore". Da ragazzo non studiavo molto ed ero sempre in movimento. La svolta è arrivata con “La matassa” di Ficarra e Picone, una tappa importante, facevo solo ruoli drammatici o di mafioso, finalmente ho avuto la possibilità di interpretare un personaggio comico. E adesso “Makari” in cui i protagonisti di una serie in prima serata su Rai1 sono tutti siciliani».

Dove la vedremo ancora?

«Ho appena finito di girare il film di Pif dal suo libro “Che dio perdona a tutti”, mentre a marzo torno su Rai1 con una nuova serie “Una finestra vista lago”, dai romanzi di Andrea Vitali, in cui sono il brigadiere Letterio Misfatti che da Catania, con la moglie Agata, è arrivato sul lago di Como, un piccolo mondo solo apparentemente tranquillo. Protagonista Antonio Folletto nel ruolo del maresciallo Maccadò. Una serie ambientata negli anni 30 in cui anche fisicamente sarò completamente diverso».

C’è un sogno nel cassetto, un ruolo che desidera?

«Una commedia comica da protagonista al cinema. Una volta una signora che mi ha riconosciuto mi ha abbracciato dicendomi che in un momento buio della sua vita ero riuscita a farla ridere. Per me è stato il complimento più bello. Faccio l’attore per emozionare, per dare gioia, per dare due ore di serenità. Amo far ridere, se riesco a regalare un sorriso sono l’uomo più felice del mondo».

BIO

Domenico Centamore, nato a Scordia, 58 anni, sposato, due figli,   è stato Vito ne I centopassi, ha recitato ne La meglio gioventù, Il capo dei capi, Il divo di Sorrentino, Baaria di Tornatore, La matassa e Incastrati di Ficarra e Picone, Anime nere di Francesco Munzi, nel Pinocchio di Garrone, ne La mafia uccide solo d'estate. In guerra per amore di Pif con cui ha appena concluso le riprese di Che Dio perdona a tutti