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il caso

Ue-Mercosur, rinvio al fotofinish: tra piazze in rivolta, veti incrociati e pazienza brasiliana

Slitta la firma dell’intesa dopo oltre 26 anni di trattative. Parigi e Roma frenano per le pressioni degli agricoltori, mentre Lula invita ad attendere: l’accordo potrebbe essere ritoccato e siglato a gennaio o entro il passaggio di presidenza del Mercosur.

Redazione La Sicilia

19 Dicembre 2025, 02:00

C’è odore di gasolio e di terra bagnata sulle strade di Bruxelles mentre i trattori assediano il quartiere europeo. Dall’altra parte dell’Atlantico, le penne sono pronte per la firma. Poi, all’ultimo giro d’orologio, il dossier più longevo del commercio europeo torna nel cassetto: la firma dell’accordo tra Unione europea e Mercosur slitta a gennaio, per le riserve di Francia e Italia e per la protesta degli agricoltori. A Brasilia, Luiz Inácio Lula da Silva chiede “pazienza”; a Parigi, Emmanuel Macron bolla il testo come “inaccettabile”; a Roma, Giorgia Meloni vuole garanzie stringenti per chi lavora nei campi. Ventisei anni di negoziati rimandati di altre poche settimane, forse: ma nella politica commerciale, anche pochi giorni possono cambiare i rapporti di forza.

Che cosa è successo nelle ultime ore

La Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha informato i leader che la cerimonia di firma, prevista in Brasile per il 20 dicembre 2025, non si terrà. Decisione concordata dopo che Parigi e Roma hanno chiesto un rinvio per perfezionare un “pacchetto di tutele” per il settore agricolo e calmare le piazze. Il Consiglio Ue registra dunque lo slittamento: la prima finestra utile per il sigillo politico viene ora indicata in gennaio 2026.

Al Consiglio europeo riunito a Bruxelles, Macron ha ribadito che la Francia “non è pronta” a firmare, evocando il tema della “reciprocità” e dei controlli sui prodotti importati. La presa di posizione francese, saldata a quella italiana, è stata decisiva per far mancare la maggioranza qualificata necessaria al via libera.

Sul fronte opposto, Lula ha smussato i toni del suo recente “ora o mai più”, spiegando di aver parlato con Meloni: l’Italia, sostiene il presidente brasiliano, non è contraria, ma chiede tempo per consolidare il sostegno domestico. Bruxelles, intanto, prova a blindare un compromesso: salvaguardie, gradualità, e l’impegno che nessuna norma europea sarà abbassata.

Perché Francia e Italia hanno frenato

Pressione sociale: le proteste degli agricoltori hanno invaso Bruxelles nelle stesse ore in cui i leader si riunivano. La percezione, soprattutto in Francia e Italia, è che l’accordo apra la porta a un aumento di importazioni “sotto costo”, difficile da fronteggiare in una stagione già segnata da costi elevati e regole più severe.

Dossier sanitari e fitosanitari: Macron ha richiamato esplicitamente la necessità di “controlli stringenti” e “coerenza” nelle regole applicate a chi esporta nel mercato unico.

Tempistica politica: Meloni ha legato il sì italiano al completamento delle “garanzie per gli agricoltori”, indicando come orizzonte “l’inizio del 2026”. Nelle ultime ore, da Roma è arrivato un messaggio di apertura condizionata: l’Italia non blocca per principio, ma vuole misure aggiuntive concordate e condivise con le categorie.

La contro-narrazione del Brasile

Da Brasilia, Lula e il ministro delle Finanze Fernando Haddad insistono: l’intesa non è solo economica, è una priorità geopolitica. Secondo il governo brasiliano, l’Ue non “perde nulla” e le salvaguardie concordate sono sufficienti a proteggere i produttori europei, mentre l’accordo ridà centralità al rapporto euro-latinoamericano in una fase di competizione globale.

In una conferenza stampa il 18 dicembre, Lula ha riferito la conversazione con Meloni: “non contraria, ma serve tempo — una settimana, 10 giorni, al massimo un mese”. Un messaggio che ha contribuito a trasformare il “redde rationem” annunciato per il weekend in un rinvio tecnico.

Che cosa c’è davvero dentro l’accordo Ue-Mercosur

L’intesa politica raggiunta nel dicembre 2024 era stata rifinita nel 2025 con un pacchetto di clausole e un “strumento aggiuntivo” su sostenibilità e impegni ambientali. Il cuore economico è la progressiva eliminazione dei dazi sulla gran parte degli scambi, con protezioni specifiche per i settori sensibili. Alcuni numeri chiave:

Quota per la carne bovina: 99.000 tonnellate a dazio ridotto (7,5%), con ripartizione 55% fresca/chilled e 45% congelata. L’Esecutivo Ue stima che equivalga a circa 1,5% della produzione europea e sia inferiore alle importazioni attuali dal Mercosur.

Pollame: quota di 180.000 tonnellate duty-free, introdotta in 5 anni; valore pari a circa 1,3% della produzione Ue.

Altri contingenti tariffari: 25.000 tonnellate per suini; 180.000 tonnellate per zucchero; 450.000 tonnellate per etanolo industriale (dazio zero), più 200.000 tonnellate per altri usi con dazio ridotto; 60.000 tonnellate per riso; 45.000 tonnellate per miele; 1 milione di tonnellate per mais e sorgo.

Elemento inedito: una clausola di salvaguardia che, per la prima volta, copre anche le merci importate sotto quota. Tradotto: se l’import cresce troppo in fretta o provoca distorsioni di prezzo, la Commissione può attivare rapidamente misure di difesa del mercato interno. Resta fermo che tutti i prodotti devono rispettare gli standard sanitari e fitosanitari europei.

Il capitolo sostenibilità e la variabile deforestazione

Uno dei nodi più politici riguarda il rapporto tra l’intesa commerciale e le regole europee su clima e deforestazione. Mentre il pacchetto Ue-Mercosur richiama gli impegni dell’Accordo di Parigi e introduce meccanismi di cooperazione ambientale, sullo sfondo si muove la nuova Regolamentazione Ue contro la deforestazione (EUDR), concepita per vietare importazioni di prodotti legati a fenomeni di deforestazione. Proprio in questi giorni, però, i governi hanno approvato un rinvio di un anno dell’entrata a regime: le grandi imprese dovranno conformarsi dal 30 dicembre 2026, le PMI dal 30 giugno 2027. Una decisione divisiva, accolta con favore dall’industria ma criticata dagli ambientalisti, che incrocia direttamente la percezione dell’accordo con il Mercosur.

Le ragioni politiche dietro allo stop

Macron, la coerenza interna e il fronte agricolo

Per Macron, il tema è di coerenza: non si possono chiedere sacrifici agli agricoltori europei, innalzare standard e costi regolatori e, nello stesso tempo, aprire nuove quote in ingresso senza garanzie “reali” su reciprocità e controlli. La protesta dei trattori in Francia — alimentata quest’anno anche da emergenze sanitarie come la vaccinazione di massa contro la lumpy skin disease — ha alzato la temperatura politica, rendendo l’accordo un detonatore perfetto.

Meloni, il “sì condizionato” e il calendario domestico

La premier Giorgia Meloni ha adottato una linea parallela: “firmare quando saranno pronte le garanzie per il settore agricolo”, con l’orizzonte di inizio 2026. Il messaggio agli alleati europei è che Roma non intende sabotare un’intesa strategica, ma vuole prima chiudere un pacchetto di misure e discuterlo con il mondo agricolo italiano. Uno spazio che potrebbe essere riempito con fondi di compensazione, clausole attuative e un cronoprogramma chiaro per attivare le salvaguardie.

Quanto vale l’interscambio Ue–Mercosur

Al netto dell’accordo, l’interdipendenza è già significativa. Nel 2024, il commercio di beni tra Ue e Mercosur ha superato 111 miliardi di euro: 55,2 miliardi di esportazioni europee e 56 miliardi di importazioni. In un decennio, l’interscambio è cresciuto di oltre 36%, con import in aumento di più del 50% e export di 25%. Brasile pesa per oltre l’80% dei flussi. Nei servizi, il dato 2023 parla di oltre 42 miliardi.

I prodotti: dall’America Latina arrivano soprattutto agricoli (42,7% delle esportazioni Mercosur verso l’Ue nel 2024), minerali (30,5%) e carta/polpa (6,8%); l’Europa vende macchinari, chimica e farmaceutica, trasporti. In parallelo, lo stock di investimenti diretti europei nel Mercosur vale circa 390 miliardi di euro (2023). Numeri che spiegano perché molti governi spingono per chiudere: l’accordo riguarda centinaia di milioni di consumatori e una quota non marginale del Pil globale.

Le obiezioni degli agricoltori: mito e realtà

Le contestazioni ruotano attorno a tre parole: carne bovina, pollame, zucchero (con riso, miele, mais e etanolo nelle retrovie). È vero che l’accordo apre nuove quote in ingresso; è altrettanto vero che si tratta di volumi limitati se rapportati alla produzione UE e, secondo l’Esecutivo europeo, inferiori alle importazioni già in essere in alcuni comparti. La quota bovina da 99.000 tonnellate rappresenta circa lo 0,6% della produzione Mercosur e l’1,5% di quella Ue; per il pollame si parla di 1,3% della produzione europea, con un phasing-in pluriennale. Qui il terreno non è solo economico ma percettivo: in una fase di prezzi compressi, ogni concorrenza aggiuntiva è vissuta come minaccia esistenziale.

Alcune associazioni europee ricordano poi i differenziali regolatori su fitofarmaci e benessere animale. L’Ue ribatte che nessuno standard scende: chi esporta deve rispettare le stesse regole. Resta il nodo della tracciabilità e dei controlli alla frontiera, che Francia e Italia chiedono di rafforzare e finanziare con strumenti ad hoc.

La geopolitica dell’accordo: perché il Brasile insiste

Per Brasilia, l’intesa è un tassello della proiezione internazionale del Mercosur e un segnale di autonomia strategica del Sud globale. Haddad parla di “priorità geopolitica”, non di mero scambio tariffario. Sul tavolo c’è anche la concorrenza di Cina e Stati Uniti nell’America Latina: completare un grande Accordo di partenariato con l’Ue significherebbe ancorare norme, standard e catene del valore a una relazione di lungo periodo. Non a caso, il governo Lula ha lavorato perché la firma coincidesse con la presidenza pro tempore brasiliana del Mercosur nel secondo semestre 2025, puntando al passaggio di testimone con un trofeo politico in mano.

La variabile del calendario: che cosa può accadere adesso

Il rinvio a gennaio 2026 non è neutrale. Formalmente, la presidenza di turno del Mercosur esercitata dal Brasile si conclude a fine 2025; ogni scivolamento oltre il passaggio di consegne complica la gestione politica nel blocco sudamericano. Da qui l’insistenza di Lula per una firma “entro la fine dell’anno” o, al più, nelle primissime settimane dell’anno nuovo. La breve tregua chiesta dall’Italia — “7-10 giorni, al massimo un mese”, secondo la ricostruzione di Brasilia — si gioca tutta in questo spazio.

Che cosa serve per sbloccare

  1. Un “allegato agricolo” che renda operative le salvaguardie, specifichi tempi e criteri di attivazione, e preveda un canale rapido per compensazioni in caso di perturbazioni.
  2. Un protocollo sui controlli che rassicuri i Paesi scettici: tracciabilità, ispezioni, risorse ai servizi veterinari e doganali.
  3. Un chiarimento sul coordinamento con l’EUDR dopo il rinvio: il rischio, per le capitali più sensibili, è di percepire il combinato disposto di una stretta rinviata e un accordo commerciale come un varco per prodotti non allineati.

Perché conviene anche all’Italia (se ben difesa)

L’Italia esporta in Mercosur macchinari, meccanica di precisione, chimica, farmaceutica, alimentare di qualità. Il taglio dei dazi e la rimozione di barriere non tariffarie promettono un vantaggio per i distretti manifatturieri. Il prezzo politico interno, però, si paga nelle campagne: qui entrano in gioco tre strumenti smorzatori che Roma vuole vedere nero su bianco:

Clausole di salvaguardia automatiche e rapide.

Fondi europei dedicati a compensazioni temporanee in caso di shock. (La discussione è avanzata in sede Ue e alcuni Paesi ne hanno chiesto il rafforzamento contestuale alla firma).

Controlli e reciprocità regolatoria, per evitare concorrenza sleale.

Se le contropartite saranno soddisfacenti, un “sì condizionato” può tradursi in un vantaggio strategico: l’Italia eviterebbe l’isolamento in un’Ue che — al netto delle cautele — continua a vedere nell’intesa con il Mercosur un tassello di politica industriale e geoeconomica.

La partita in Europa: chi spinge e chi frena

Dentro l’Unione, il fronte pro-accordo comprende Paesi con forte vocazione industriale e export-oriented; quello più scettico aggrega Stati con filiere agricole esposte o sensibilità ambientali e sociali più marcate. Per chi vuole firmare, il messaggio è che l’Europa non può permettersi di restare ai margini dei grandi accordi commerciali; per chi frena, la priorità è non scaricare sui contadini europei il costo della globalizzazione in un momento di turbolenza. Lo slittamento a gennaio fotografa un equilibrio instabile, ma non chiude la porta.