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il commento

Questione morale come un buco nero

Cuffaro e Romano, richieste d'arresto che riaprono il déjà‑vu di una Sicilia bloccata nei vecchi poteri

Mario Barresi

05 Novembre 2025, 07:35

Questione morale come un buco nero

Fine pena mai. Dove pena non è un sinonimo di ergastolo. Ma di tormento. L’afflizione della Sicilia dell’ultimo quarto di secolo. Infognata fino ad affogare. In un buco nero che è riduttivo chiamare questione morale. È molto di più. Non la condanna di un giudice, ma una sentenza già emessa dalla storia, con centinaia di pagine di cronaca ammonticchiate nel tempo.

I pm di Palermo chiedono di arrestare Cuffaro e Romano. Così uguali, eppure diversi. Entrambi allievi dell’accademia democristiana del capocorrente Mannino; uno, ex presidente della Regione, ha scontato quasi cinque anni di carcere per favoreggiamento alla mafia e oggi è il leader della sua Dc; l’altro, ex ministro, coinvolto in più inchieste, per reati che vanno dal classico concorso esterno al più creativo traffico d’influenze, ma mai condannato, dà le carte nel centrino di Noi Moderati. Tutt’e due ancora protagonisti della politica siciliana, soci influenti della maggioranza che governa la Regione, decisori di assetti e nomine

I nomi eccellenti di ieri sono un immediato - ed enorme - déjà vu politico-giudiziario. E allo stesso tempo il simbolo di una maledizione

La richiesta di arresto di Cuffaro e Romano ci riporta all’alba del millennio, dentro le pagine ingiallite dei verbali di pentiti di mafia e influencer (all’epoca la parola non esisteva) da tribunale, ma anche a faccende di imprenditori collusi e affari sulla salute dei siciliani.
Già visto, già sentito, già vissuto. Il tempo che sembra essersi fermato, nell’Isola paradiso di corrotti e corruttori, è una doppia condanna.

Una è politica. E investe, direttamente, il centrodestra siciliano già azzannato da più inchieste e processi che coinvolgono pezzi grossi di governo e Ars. Schifani s’è mostrato gelido con gli alleati e duro con i vertici sanitari coinvolti, ma dovrà mettere una pezza - l’ennesima - a quella che è una voragine etica e morale, prima ancora che giudiziaria. Con quasi tutti i partiti della coalizione coinvolti. Prima o poi, al netto degli ulteriori spifferi che fuoriescono da almeno un paio di procure siciliane.

La seconda condanna è generazionale. L’orologio del potere siciliano s’è rotto, è fermo da un ventennio. Oggi prime pagine e home page sono dominate dall’inchiesta su Cuffaro (67 anni) e Romano (60), ma di solito il dibattito è infiammato dalla ricandidatura del settantacinquenne Schifani, che deve guardarsi le spalle dalla fredda vendetta del predecessore Musumeci (70 anni) e dall’imprevedibilità di Lombardo (75) alleato con il “jokerMiccichè (71).

Il ricambio? La fatwa giudiziaria, fra inchieste e processi in corso, ha già coinvolto i golden (quasi) boy del centrodestra: da Sammartino a Galvagno, da Falcone a Razza. Il potenziale rito edipico del centrodestra siciliano è rimasto un coitus interruptus. Perché se le colpe dei padri non ricadono sui figli, i guai quelli sì. Anche perché nessuno dei “giovani” è riuscito a rompere il sistema di occupazione di ogni spazio di potere. Anzi, in attesa che i “vecchi” decidano - chissà quando - di passare il testimone, hanno copiato l’intero copione.

Restano le opposizioni. Che ululano richieste di dimissioni, con l’intima speranza che non siano rassegnate. Perché anticipare il voto significherebbe andare prima incontro a una sconfitta che oggi sarebbe ineluttabile. E questa è un’altra storia. Un’altra maledizione. O una semplice constatazione.