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La lectio magistralis

L’Italia repubblicana: il patrimonio della sua storia

Quale eredità ci lasciano gli ultimi 80 anni di storia ? Che cosa si è andato accumulando, in questo periodo, che oggi fa parte del nostro patrimonio? Come eravamo alla metà del secolo scorso e come siamo oggi, per effetto di ciò che il fiume della storia ha portato a valle, dove ora passiamo noi?

18 Novembre 2025, 18:59

L’Italia repubblicana: il patrimonio della sua storia

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è intervenuto all’inaugurazione dell’Anno accademico della Scuola alti studi di Lucca -Imt, che ha coinciso con il ventesimo anniversario della fondazione dell’Ateneo. Nell’occasione è stato conferito il dottorato di ricerca honoris causa in "Cultural systems" a Sabino Cassese, giudice emerito della Corte costituzionale, che ha tenuto una lectio magistralis dal titolo «L'Italia repubblicana: il patrimonio della sua storia»..


* La lettura del testo, è stata preceduta dalle seguenti parole: “Ringrazio la Scuola IMT Alti Studi Lucca per l’onore che mi fa con il conferimento di questo titolo e la professoressa Marta Cartabia per le lodi. Poiché ogni persona è anche figlio del suo tempo, le lodi vanno spartite con il proprio tempo. Ho quindi deciso di dedicare questa lezione al tempo felice nel quale sono vissuto e al contrasto tra la sua felicità e i suoi turbamenti. Devo aggiungere che non avrei potuto scrivere queste pagine se non avessi avuto il privilegio di una lontana frequentazione di maestri come Delio Cantimori e Marino Berengo e una lunga consuetudine di lavoro in comune con storici quali Alberto Caracciolo, Renzo De Felice e Guido Melis. In particolare, con quest'ultimo, negli ultimi quarant'anni, ho scambiato scritti e opinioni, in un colloquio ininterrotto nel quale ho da lui tanto appreso”.


1. L’eredità repubblicana

Quale eredità ci lasciano quasi 80 anni di storia repubblicana? Che cosa si è andato accumulando, in questo periodo, che oggi fa parte del nostro patrimonio? Come eravamo alla metà del secolo scorso e come siamo oggi, per effetto di ciò che il fiume della storia ha portato a valle, dove ora passiamo noi?

La storia è studiata nel suo divenire, nel suo svolgimento. Intendo, invece, presentarla principalmente nel suo risultato, come patrimonio di istituzioni, costumi, prassi che si sono andati raccogliendo nel tempo, un lascito del passato al presente, un dono delle generazioni precedenti a quelle successive.

La storia è studiata per gli eventi che si succedono, le congiunture, le strutture, e quindi anche nella lunga durata. Intendo, invece, esplorare strati diversi della storia, a partire dai suoi movimenti più lenti e profondi. Vi sono, infatti, trame più riposte, su cui si collocano gli apporti destinati a durare, ed altre su cui si innestano eventi più contingenti, quelli della politica e dell’opinione pubblica, delle percezioni dei problemi e dei sentimenti. Questi diversi strati hanno durate diverse, corrono paralleli, si incontrano e talora si scontrano, contraddicendosi. Per indagarli, lo storico deve divenire geologo.
Insomma, non c’è una sola storia, ma tante diverse storie, con durate diverse, a profondità diverse, intersezioni e decorsi paralleli. Alcune passano e lasciano poche tracce, altre contribuiscono al farsi della civiltà. Riuscire a metterle insieme è pressoché impossibile, ma si può tentare - come farò - di segnalarne i maggiori punti di raccordo, e principalmente l’eredità di cui oggi godiamo. 


2. Come eravamo e come siamo   

Le aspettative di vita alla nascita degli italiani sono aumentate, negli ultimi ottanta anni, di più di 17 anni. L'altezza degli italiani è aumentata di poco meno di 10 centimetri. La nostra ricchezza netta, in termini reali, è quasi 12 volte quella del 1951. Il numero delle reti internazionali di cui l'Italia fa parte si è almeno decuplicato. La spesa sociale è cresciuta costantemente da poco meno del 10 a circa il 30 per cento del prodotto interno lordo. Il numero dei beneficiari di interventi per il lavoro, la disoccupazione e l'invalidità è aumentato di più di sei volte. Il numero degli aventi diritto a pensioni è passato da poco più del 6 per cento a più di un quarto della popolazione, e il 4 per cento circa degli attuali 16 milioni di pensionati continua a lavorare. Il numero degli addetti all'agricoltura è oggi circa il 10 per cento di quello che era una volta e le aziende agricole sono diminuite di tre quarti, ma il numero delle imprese si è quasi triplicato, e così anche si è triplicato il numero delle persone che sono proprietarie della casa di abitazione. Il numero degli studenti delle scuole statali è passato da 5 a 7 milioni, mentre il numero degli insegnanti è triplicato, il numero delle università è aumentato di 8 volte e il numero dei visitatori dei musei e dei parchi archeologici e statali si è decuplicato.


3. Il progresso e la sua direzione

Dunque, in quasi ottant'anni gli italiani hanno visto allungarsi la loro vita di quasi vent'anni e aumentare il loro benessere e la loro ricchezza; la spesa sociale si è triplicata; il numero dei beneficiari di pensioni si è più che quintuplicato; il numero delle classi scolastiche è più alto del 35 per cento. L'Italia da un Paese che è stato definito duro, buono, cencioso, popolano e agricolo, è divenuta la quinta economia mondiale esportatrice di merci. Il risparmio si è indirizzato verso la proprietà dell’abitazione. L’assistenza sanitaria e l’istruzione sono assicurate a tutti e a quasi tutti il lavoro.
A tutto questo si aggiungono il beneficio dell’assenza di eventi bellici, in singolare contrasto con quella che è stata definita la guerra dei trent'anni della prima metà del secolo, che comincia nel 1915 e termina nel 1945; una diffusa ragionevole consapevolezza di progresso; governanti che hanno sentito tutte le voci del mondo, mescolandole, confrontandole e moltiplicandole, lungo una direttrice che ha mirato ad affiancare al mito libertario quello egualitario e ad attuare la promessa costituzionale di rimuovere gli ostacoli che limitano di fatto l'eguaglianza dei cittadini e non consentono lo sviluppo della persona e la sua partecipazione all'organizzazione del Paese.

Tutto questo attraverso un'operazione di demercificazione3, che ha condotto a liberare sanità, istruzione e protezione sociale dal dominio del mercato e dello scambio commerciale mediante la fornitura di servizi assicurati alle persone, indipendentemente della loro capacità di pagarli. Si è così favorita l'eguaglianza, perché le diseguaglianze hanno molto meno rilievo. In questo modo sono state mantenute alcune delle promesse costituzionali come, per citarne solamente due, quella dell'uguaglianza sostanziale del secondo comma dell'articolo 3 e quella dell'istruzione gratuita per almeno 8 anni e dell’accesso dei capaci e meritevoli ai gradi più alti degli studi dell'articolo 34.


4. Le vie della storia e i suoi tornanti

Esamino ora quello che ho descritto come patrimonio accumulato nell’ottantennio repubblicano nel suo svolgersi.
Questo periodo della storia repubblicana non è racchiuso in una parentesi: ha visto continuità ed accelerazioni. L'Italia repubblicana e democratica ha raccolto il lascito nel ventennio autoritario che l'aveva preceduto. Ha lasciato in vita i Patti lateranensi del 1929, ha fermato l'epurazione della burocrazia, ha convissuto fino al 1994 con la legge bancaria del 1936, ha tenuto in vita per più di un decennio la riforma Gentile della scuola (1923 - 1924), ha costruito il codice dei beni culturali sulle leggi sulle cose d'arte del 1939, ha tenuto in vita fino al 2000 l'Istituto per la ricostruzione industriale. Il partigiano Enrico Mattei ha costruito nel 1953 l’Ente nazionale idrocarburi sull'Azienda generale italiana petroli - Agip del 1926, che era stato chiamato a liquidare. La Costituzione del 1948 ha segnato meno una cesura che una transizione. Il passato non si decideva a passare, ma è stato arricchito e vi sono stati nuovi inizi.

Poco prima del 18 Aprile 1948 ai nobili agrari romani veniva indirizzato il seguente discorso: “noi dobbiamo rimediare alla grande sperequazione di ricchezza, alle insopportabili ingiustizie sociali, alla lunga incuria nel combattere la miseria, che per oltre un secolo hanno caratterizzato la politica egoistica, avida e cieca delle nostre classi dirigenti”. Sono queste le parole con cui Alcide De Gasperi si rivolgeva agli agrari4. Dall'altra parte, nel 1944 Palmiro Togliatti faceva la svolta di Salerno per accantonare la scelta tra monarchia e repubblica, sostenere un governo di unità nazionale, anche con la presenza del re e di Badoglio, concentrare gli sforzi sulla lotta di liberazione; nel 1945 sceglieva come capo di gabinetto l'ex presidente del Tribunale della razza; bloccava, con l’amnistia del 1946, l'epurazione; nel 1947 votava l'articolo 7 della Costituzione, che rinviava ai patti Lateranensi.
Gli anni ’50, ‘60 e ‘70 sono stati segnati da molte novità e costituiscono i tre tornanti fondamentali della storia repubblicana. Nel primo dei tre decenni, la riforma agraria e la costituzione della Cassa per il mezzogiorno (1950), l’istituzione del Ministero delle partecipazioni statali (1956), la legge sugli idrocarburi e il contestato testo unico sul pubblico impiego (1957), fino alla firma, nello stesso anno, del trattato istitutivo della Comunità economica europea. 

Nel decennio successivo, nel 1962 la nazionalizzazione elettrica e la scuola media dell'obbligo; l'anno successivo la parificazione delle donne nei pubblici uffici; nel 1968 la delega per il decentramento. 

Nel terzo dei tre decenni si registrano i cambiamenti principali: nel 1968 la protesta studentesca e operaia, che ha prodotto una scuola più aperta e meno gerarchica e rapporti sociali più egualitari; nel 1969 la pensione sociale, poi chiamata assegno sociale, per i privi di reddito, e quindi l'allargamento universalistico dell'assistenza sociale; l'anno successivo, l’elezione dei consigli regionali, lo statuto lavoratori e il divorzio, subito seguiti dalla riforma tributaria del 1972 - 73, dalla Consob nel 1974 e dalla legge sull’edificabilità dei suoli del 1977, che regolava la concessione edilizia e metteva gli oneri di urbanizzazione a carico dei costruttori. Poi, l'approvazione, nel 1978, della legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale, rivolta a tutti i residenti, che ha, in un solo anno recente, consentito più di 17 milioni di accessi al pronto soccorso, più di 7 milioni di ricoveri ospedalieri urgenti e più di 1 milioni di assistenze domiciliari. Questa è stata seguita dalla legge del 1986 istitutiva del Ministero dell’ambiente e della valutazione di impatto ambientale, che ha avviato la formazione di un autonomo diritto dell’ambiente anche in Italia, distinto da quello dei beni culturali e del paesaggio.

Questo moto accelerato si è concluso, in Italia, con le inchieste giudiziarie del 1992-1994, seguite dalle modifiche delle norme sul finanziamento dei partiti, sugli appalti, sui reati contro la pubblica amministrazione, sulla corruzione, ma anche con una ridefinizione del ruolo dell’ordine giudiziario e, accompagnate, nel mondo, con la crisi dell’Unione sovietica e la fine della guerra fredda.

 Si chiude così la prima fase, quella del moto accelerato che va dal 1950 agli anni ’80, seguita da un trentennio, quello che va dal 1994 ai giorni nostri, meno ricco di cambiamenti. Ma anche in questo periodo si registrano progressi: la legge Dini del 1995 sulle pensioni contributive, l'ingresso nell'euro nel 1999 - 2002, le leggi del 1997 e del 1999 sull'autonomia scolastica, il codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004, la legge Fornero sulle pensioni del 2011 e il Jobs Act del 2014 – 2015, la legge sul cinema del 2016. In questa fase prevalgono preoccupazioni per il debito accumulato in precedenza, maggiore realismo, più frequente ricorso all'arte del compromesso, un'interazione tra istituzioni e società che tiene conto dell'avvertenza che le prime non possono procedere a un passo più spedito della seconda.

Quindi, a un primo quarantennio in cui il Paese riconquista la propria storia e la coniuga con i suggerimenti venuti d'oltralpe - penso principalmente a quelli del liberale Beveridge, che voleva assicurare la libertà dal bisogno, dalla malattia, dall’ignoranza, dal degrado abitativo e dalla disoccupazione -, segue un trentennio di raccoglimento in cui si ascoltano più le voci di dentro che quelle di fuori e il Paese è costretto in un corridoio angusto dettato dall'ammontare del debito. 

Anche qui c'è un segno di continuità. Se oggi la preoccupazione maggiore è quella della difesa europea, dobbiamo ricordare quello che scriveva il 9 agosto 1954 Alcide De Gasperi a chi gli era succeduto alla guida del partito dalla Democrazia cristiana, esprimendo la sua preoccupazione per la ratifica del trattato istitutivo della Comunità europea di difesa (Ced), da parte del Parlamento francese: «la mia spina è la Ced». E in una nuova lettera del 14 agosto 1954, cinque giorni prima di morire: «se le notizie che arrivano oggi dalla Francia sono vere, anche solo per metà, ritengo che la causa della Ced sia perduta e ritardato di qualche lustro l’avviamento all’Unione europea. […] Tu puoi appena immaginare la mia pena aggravata dal fatto che non ho la forza, né la possibilità di alzare la voce, almeno per allontanare dal nostro paese la corresponsabilità di una simile iattura…».  


5. Le inquietudini del Paese

Se ci si muove dallo strato profondo della storia verso quello superiore, si riscontra, in singolare contrasto con la traiettoria continua di progresso sociale e civile esposta, una forte inquietudine del Paese.

I segni sono molti. In primo luogo, un sistema multipartitico che, però, tende a frammentarsi, piuttosto che ad aggregarsi, e ha difficoltà a formare coalizioni stabili: basta ricordare scissioni e riunificazioni dell’area socialista tra il 1964 e il 1971; la nascita del partito di Rifondazione comunista nel 1991 - 1994; i rimaneggiamenti nella destra e nella sinistra avvenuti nel 1995 - 2007; le due scissioni dal Partito democratico del 2019.

In secondo luogo, l'alto numero di governi: nei 77 anni dal 1948 a oggi, ben 67 diversi governi. 

In terzo luogo, la variabilità delle formule di governo: per un biennio, dal 1945 al 1947, i governi di unità nazionale; poi, per quasi cinquant'anni, dal 1947 al 1994, governi di coalizione, centristi fino al 1963 e di centrosinistra successivamente. Fino al 1994, la discontinuità era compensata dalla continuità del partito dalla Democrazia cristiana, sempre al governo. Ma da questa data scompaiono o iniziano a uscire di scena i tre grandi partiti protagonisti della storia precedente, DC, PCI e PSI, e comincia il lungo trentennio che può dirsi berlusconiano con un'alternanza di governi: due anni, dal 1994 al 1996, centrodestra; cinque anni, dal 1996 al 2001, centrosinistra, seguito da altri cinque anni, dal 2001 al 2006, di centrodestra; poi, per altri due anni, dal 2006 al 2008, di centrosinistra e da tre anni, dal 2008 al 2011, di centrodestra, successivamente inframmezzato da governi multicolori di emergenza nazionale e di larghe intese dal 2011 al 2014; seguiti  da due governi di centrosinistra, dal 2014 al 2018, e da coalizioni eterogenee fra il 2018 e il 2022, per giungere a un triennio di governo di centrodestra.

In quarto luogo, il ripetuto intervento sulla formula elettorale: prima l’introduzione nel 1993 del sistema maggioritario anche con collegi uninominali; poi il ritorno nel 2005 al proporzionale; infine, dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge del 2005, la nuova legge del 2017, tutt’ora in vigore.

Il terzo indicatore dell'inquietudine del Paese è costituito dagli scioperi, che hanno accompagnato tutta la storia repubblicana con punte nel 1943 con i grandi scioperi politici del Nord, nel 1969 con l'”autunno caldo”, nel 1984 con lo sciopero per la scala mobile, nel 1994 con quello sulla riforma delle pensioni, nel 2002 con lo sciopero per la riforma dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori (reintegro nei posti di lavoro). 

L'ultimo indicatore dell'inquietudine del Paese è fornito dagli “anni di piombo”, che vanno dal 1969 con la strage di piazza Fontana a Milano, al 1984 con la strage del rapido 904 e hanno visto scoppiare la violenza politica. La violenza e il terrorismo portarono ben 140 attentati e nel 1978 alla morte del leader della Democrazia cristiana Aldo Moro.


6. La società e la sua narrazione 

Nell’ottantennio, ma in particolare nella sua seconda parte, si registra, ad un altro livello, un altro fenomeno, quello della crisi dei mezzi di formazione dell'opinione pubblica, principalmente partiti - associazione e giornali. 

Questa fase è ancora una volta in contrasto con la linea vettoriale di progresso civile e sociale della storia repubblicana. 
I partiti erano la forza trainante come associazioni, ma da un numero di iscritti superiore all'otto per cento della popolazione sono, da numerosi decenni, fortemente ridotti, avendo come iscritti meno del 2 per cento della popolazione. Nel 1950 la popolazione era costituita da 46.3 milioni e i tre maggiori partiti avevano 3.7 milioni di iscritti. Nel 2024 la popolazione era di 58.9 milioni e gli iscritti non più di 658 mila. Aspetto singolare di questa crisi dei partiti come associazioni è che la società non è apatica se, a confronto con il 2 per cento della popolazione iscritta ai partiti, sono impegnati nelle attività di volontariato circa il 9 per cento dei residenti.

La crisi dei giornali è iniziata negli anni ‘90 con lo sviluppo delle televisioni commerciali private e si è approfondita nel nuovo secolo con lo sviluppo di Internet e dell'accesso alle notizie “online”. Il numero di coloro che almeno una volta alla settimana leggono un quotidiano si è dimezzato nell'ultimo quindicennio: era la metà della popolazione italiana nel 2010, oggi solo un quarto. La vendita dei quotidiani tra il 2020 e il 2024 ha subito una riduzione del 30 per cento. Nel frattempo, la diffusione dell’informazione “many to many”, consentita dalla digitalizzazione, esclude dalla comunicazione il filtro costituito dai giornalisti e consente la circolazione di notizie false o fuorvianti.  

L’uno e l'altro fenomeno sono indici di una atomizzazione della società, laboriosa ma non imprenditiva, più sensibile verso ciò che scompare piuttosto che verso ciò che nasce, come è naturale in una compagine sociale che invecchia. Forse anche questo spiega la mancata riforma della pubblica amministrazione, il cui disegno di fondo continua ad essere quello cavouriano, con l’aggiunta di mille piccoli cambiamenti, che ne complicano, invece di migliorare, il funzionamento.


7. Avrebbe potuto andare meglio?

La società ha pagato un costo sia per il progresso, sia per le agitazioni che l'hanno accompagnato. Ha pagato i costi sociali di un troppo intenso trasferimento di manodopera dall'agricoltura all'industria. Ha pagato il costo di una Repubblica che si è preoccupata poco di quelli che sono rimasti indietro e di quelli che potrebbero andare avanti, i “capaci e meritevoli” di cui parla la Costituzione. Ha pagato il costo della grave carenza di una cultura organizzativa diffusa. Ha pagato il costo delle promesse non mantenute, delle troppe norme della Costituzione non attuate o attuate solo parzialmente. Ha pagato il costo dell'alto debito pubblico, elemento che ha accompagnato sempre la storia d'Italia, e ha impedito la concentrazione degli sforzi negli interventi infrastrutturali, nei servizi a rete e nelle strutture produttive, tradendo il programma costituzionale secondo il quale il risparmio popolare andava indirizzato verso i grandi sistemi produttivi del Paese. Ma il debito pubblico ha anche svolto una funzione positiva, perché ha costretto su un binario governi transeunti, obbligandoli ad evitare maggiori spese. Esso è altresì un indicatore di fiducia, se - come accade in un Paese di risparmiatori come l’Italia - i titoli emessi dallo Stato sono in larga prevalenza (due terzi) in mani italiane e per il 15 per cento circa di proprietà delle famiglie. 

C’è, infine, da essere rammaricati che le metamorfosi avvenute non si siano accompagnate con una riflessione sulle medesime e con analisi previsive che avrebbero potuto fin dall'inizio permettere di capire che la fine dello stalinismo sarebbe stato il nuovo inizio dello zarismo e che quindi la tendenza storica della Russia verso l'occidente avrebbe ripreso il suo corso.


8. Che fare?

Siamo in una istituzione universitaria ed è quindi appropriata una riflessione conclusiva che riguarda strettamente l'università e nella quale posso svolgere quella funzione di “testimone attivo” di cui parlava il grande studioso francese Raymond Aron.
Ho imparato in questi anni che spesso la funzione di educatore è stata confusa con quella di insegnante. Dicevano i romani che l’educatore deve “docere, delectare, movere”. Non deve solo insegnare una “materia” o “disciplina”, deve suscitare interesse e domande, guidare: educare mira a un progresso e questo richiede un cambiamento, che presuppone una speranza.
Ho notato, inoltre, che abbiamo dimenticato l'insegnamento del fondatore della università moderna, Wilhelm von Humboldt, che istituì nel 1810 l’Università di Berlino che porta oggi il suo nome, per il quale l'università è una comunità di studenti e gli studiosi, non un insieme di volti in una folla atomizzata. La Scuola IMT Alti Studi Lucca è in questo senso un esempio significativo. Purtroppo, vi sono invece istituti di istruzione superiore senza una vera e propria comunità di studenti e studiosi, e persino senza idonee biblioteche.

Il terzo insegnamento che ho tratto come testimone riguarda il superamento dei cosiddetti settori disciplinari. Siamo stati troppo presi dalla cura del nostro orticello. Per cui oggi si sente spesso dire che occorre togliere il diritto dalle mani esclusive dei giuristi e che occorre chiedere ai giuristi di andare oltre il diritto, se vogliono capirlo. È la strada percorsa dalla medicina traslazionale e dalle scienze della vita. È analoga a quella proposta da Draghi con il ventottesimo regime sovranazionale e opzionale per superare, nell’Unione, le barriere e le gabbie nazionali. È la strada intrapresa venti anni fa - festeggiamo, infatti, oggi, il suo anniversario - dalla Scuola IMT Alti Studi Lucca, con la sua impostazione multidisciplinare. 

Da ultimo, i professori sono per vocazione intellettuali, a come tali non debbono dimenticare - come purtroppo fanno coloro che si schierano e parteggiano - il motto, caro alla Compagnia di Gesù, “distingue frequenter”.