agricoltura eroica
Frutta dimenticata di Sicilia: biodiversità da assaporare prima che scompaia
Viaggio tra mele cola, pere spinelle e profumi antichi. Così la frutta dell’Etna torna a vivere, simbolo di una Sicilia che resiste alla modernità senza perdere il gusto delle origini
Mele dell'Etna varietà "Romaneddi"
Un viaggio tra mele antiche, pere spinose e profumi dimenticati. Così la frutta dell’Etna torna a vivere, simbolo di una Sicilia che resiste alla modernità senza perdere il gusto delle origini.Un viaggio tra mele antiche, pere spinose e profumi dimenticati. Così la frutta dell’Etna torna a vivere, simbolo di una Sicilia che resiste alla modernità senza perdere il gusto delle origini.
Mele cola, ‘nzalore, sorbe, pere spinelle. Novembre è il mese in cui la frutta autunnale “dimenticata” torna a raccontare la sua storia. Piccoli frutti locali, spesso selvatici o coltivati in quantità limitate, che faticano a trovare spazio sugli scaffali dei supermercati, ma che in Sicilia sopravvivono ancora grazie a produttori attenti e piante resilienti.
Sorbe dell'Etna
Le mele dell’Etna (uno dei presidi slow Food) sono le più conosciute, ma quasi nessuno conosce le varietà nella varietà di questi frutti preziosi dai nomi che sembrano delle ‘ngiurie “Facci bedda”, “Lappiuni”, “Mela Ruggia”, “Romaneddu”, “Gelato”, “Cola”, “Cirino”, “Nuntagnisi”, “Barriato”, “Rotolo”... Mele diversissime tra loro (ce ne sono oltre una ventina di varietà e tutte coltivate su terreni che hanno un‘altitudine da 800 a 1500 metri), piccolissime o enormi come il Rotolo (per esempio), il cui nome deriva da un’antica unità di misura pari a circa 800 grammi.
Mela dell'Etna "cola gelato"
Sarebbero scomparse da tempo se non fosse stato per la resilienza di chi, tra i muretti a secco e le colate laviche, continua a credere nella terra e nei suoi sapori più autentici. Questi agricoltori, veri custodi della biodiversità etnea, conservano alberi secolari e semi tramandati di generazione in generazione, sfidando un mercato dominato da poche varietà standardizzate e da logiche industriali che non lasciano spazio alla diversità. Eppure queste mele e questa frutta “dimenticata” si trova ancora. Basta avere la curiosità di spingersi lungo le strade che salgono verso il vulcano.

Lì, ai margini dei paesi, è facile individuare i “punti vendita” sul ciglio delle strade, non ci sono negozi, non ci sono prezzi, solo il racconto degli agricoltori che le vendono. Ogni frutto racconta una storia di adattamento e resistenza: varietà nate per sopravvivere al freddo, al vento, alla cenere e alle escursioni termiche estreme. Questa frutta dell’Etna non è sono solo un prodotto agricolo, ma un patrimonio culturale e genetico. Rappresentano la memoria di un territorio e di una civiltà contadina, ma anche un modo di vivere fatto di lentezza, conoscenza e rispetto per la natura. Nel tempo della produzione di massa e del gusto uniforme, la loro sopravvivenza è un piccolo miracolo di resistenza.
Certo, sono frutti spesso piccoli, bruttini, con più torsolo che polpa e magari con qualche bruco dentro, lontanissimi dall’immagine standard della mela di Biancaneve rossa e perfetta (non a caso avvelenata più che dalla strega, dalla chimica), ma il loro sapore unico è inconfondibile.
Pere spinelle, si consumano cotte
La sfida rimane comunque alta: la frutta dimenticata produce quantità limitate, difficili da inserire nelle logiche della grande distribuzione, e il mercato locale resta l’unico canale per gustarla, un invito a cercarla e a sostenerne la coltivazione. Riscoprire e valorizzare questi frutti significa non solo riportare a tavola sapori autentici, ma anche difendere la biodiversità siciliana, tutelare varietà a rischio e proteggere un patrimonio naturale e culturale unico. In un autunno che colora di arancione campagne e mercati, la frutta dimenticata diventa così simbolo di identità, resistenza agricola e gusto.