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IL DELITTO DI CHIARA POGGI

Garlasco, l’udienza che spiazza tutti: Stasi in aula a Pavia, Sempio assente e la perizia che divide

Un incidente probatorio che può ridisegnare i confini del caso: perché l’ex fidanzato condannato è tornato in tribunale, cosa sostiene la nuova analisi genetica e perché l’indagato oggi non c’era

Alfredo Zermo

18 Dicembre 2025, 13:43

Garlasco, l’udienza che spiazza tutti: Stasi in aula a Pavia, Sempio assente e la perizia che divide

Una piccola porta carraia sul retro del Tribunale di Pavia, una Fiat 500, un uomo che per l’Italia è un nome inciso nella memoria collettiva: Alberto Stasi. È entrato così, quasi in sordina, all’udienza di oggi, fissata per l’incidente probatorio sul delitto di Chiara Poggi. Un’apparizione che ha cambiato in un istante la temperatura emotiva dell’aula: il condannato in via definitiva a 16 anni per quell’omicidio è lì, seduto tra il pubblico, mentre il nuovo indagato, Andrea Sempio, non si vede. E sul banco delle analisi la perita super partes Denise Albani ricostruisce, pezzo dopo pezzo, l’enigma dell’aplotipo Y trovato sotto le unghie della vittima: una presenza “parziale”, “mista”, che indica una linea maschile compatibile con la famiglia Sempio, ma che – avverte – non basta da sola a dire “chi, come, quando”.

Perché Stasi era in aula

La domanda che rimbalza fin dall’ingresso è semplice e scomoda: perché Alberto Stasi si presenta all’udienza se la sua posizione, sulla carta, è già cristallizzata da una sentenza definitiva? La risposta, scandita dal difensore Antonio De Rensis, è un mix di diritto e di strategia processuale: Stasi “voleva esserci perché lo riguarda”, spiegano i legali, e la magistratura di sorveglianza gli ha concesso la presenza in aula con una condizione netta: non potrà prendere la parola. È un passaggio tutt’altro che rituale. La Procura di Pavia ha riaperto il fascicolo individuando in Andrea Sempio l’indagato per un possibile “omicidio in concorso” – ipotesi che, sul piano logico-giuridico, apre scenari che vanno dall’eventuale chiamata in correità alla mai banale strada della revisione. Nessuno può anticipare gli esiti, ma la sola possibilità che i nuovi atti possano incidere sull’architettura della verità giudiziaria basta a spiegare la presenza silenziosa di Stasi: essere dove si decide la tenuta o l’eventuale riscrittura del racconto processuale.

Non è la prima volta, quest’anno, che Stasi si presenta ai magistrati. Il 20 maggio 2025 ha già risposto per circa due ore e mezza alle domande dei pm a Pavia, qualificato come testimone assistito nel nuovo filone d’indagine: in quell’occasione ha ribadito di non aver “mai visto né conosciuto” Sempio e di aver risposto punto per punto alle contestazioni. Un tassello utile per capire il clima con cui si arriva all’udienza odierna: massima esposizione mediatica, massima cautela degli atti.

L’assenza di Sempio

Se l’apparizione di Stasi colpisce, l’assenza di Andrea Sempio non sorprende chi segue il dossier. Già in primavera, di fronte a una convocazione in Procura, la difesa di Sempio – gli avvocati Massimo Lovati e Angela Taccia – aveva eccepito la nullità dell’atto per un vizio di forma: mancava, secondo i legali, l’avviso previsto dall’articolo 375, comma 2, lettera d) del codice di procedura penale (quello che richiama la possibilità di accompagnamento coattivo in caso di mancata comparizione). Oggi, a Pavia, Sempio non c’è. La sua posizione è chiara: parlare solo quando e come riterrà rispettate tutte le garanzie difensive; tenere il baricentro sulla tenuta scientifica della prova genetica e sui limiti che la stessa perita riconosce.

L'udienza

Davanti alla gip Daniela Garlaschelli la prima a parlare è stata la genetista Denise Albani che ha illustrato la sua perizia sul Dna e ha risposto alle domande delle parti. La Procura ha provato a insistere sul lavoro fatto in precedenza dall’esperto Francesco De Stefano, perito del processo d’appello al condannato Alberto Stasi, a insistere sulla non validità della traccia di Sempio sulle unghie della vittima è stata invece la difesa del 37enne. Breve l’intervento della difesa di Stasi, quindi a chiudere le domande è stata la difesa della famiglia Poggi.

Cosa dice la perizia Albani

Il cuore dell’udienza è quindi la relazione di Denise Albani, genetista nominata come perita super partes dal gip. La sua ricostruzione parte da un dato forte: nelle tracce biologiche prelevate dai margini ungueali di Chiara Poggi nel 2014 emergono profili riconducibili all’aplotipo Y tipico della linea maschile della famiglia Sempio. Un riscontro, sottolinea la perita, in linea con quanto già evidenziato in passato da consulenze di Procura e difesa, ma che presenta un nodo metodologico: si tratta di aplotipi misti e parziali. Tradotto per il lettore non addetto ai lavori: c’è una compatibilità con un cromosoma Y coerente con Sempio o con gli uomini a lui imparentati per via paterna, ma la parzialità e la mistezza del profilo genetico non permettono di individuare con rigore la persona fisica – né, soprattutto, di stabilire le modalità di deposizione (contatto diretto, trasferimento avventizio o contaminazione), né il momento in cui quella traccia si sarebbe depositata.

Su almeno due dita della vittima, i livelli di compatibilità statistica sono stati indicati – nelle relazioni tecniche citate in aula e nella rassegna degli atti – tra “moderata” e “da moderatamente forte a forte”. Sono gradi di forza che aiutano a orientare il giudizio, ma non risolvono il problema decisivo del nesso causale: una compatibilità genetica sulle unghie di una vittima non equivale, di per sé, a presenza dell’autore sulla scena del crimine nell’arco temporale del delitto. In particolare quando si parla di cromosoma Y, che non identifica un singolo individuo ma una linea familiare maschile condivisa.

Il punto della difesa Sempio

Le parole della difesa di Andrea Sempio si attaccano a una fessura tecnica e la dilatano in tesi processuale: “Il dato non è stato replicato con identico risultato, dunque è giuridicamente inutilizzabile – sostengono gli avvocati Liborio Cataliotti e Angela Taccia –: non vale come indizio e ancor meno come prova”. Il ragionamento è noto agli esperti: una scienza forense che si fonda su campioni degradati, tracce miste o parziali, e su basi statistiche talvolta limitate a banche dati locali, corre il rischio di trasformare la compatibilità in suggestione. Da qui la richiesta di leggere la relazione Albani non come un colpo di scena accusatorio, ma come la fotografia di un materiale che indica una compatibilità familiare e nulla più.

La difesa propone anche un’ipotesi alternativa: l’“aplotipo Y” della famiglia Sempio potrebbe essere arrivato sui margini ungueali per trasferimento mediato – ovvero, toccando un oggetto presente nell’abitazione dei Poggi in tempi anteriori al delitto – o per altre forme di contaminazione non riconducibili all’azione dell’omicidio. È un’ipotesi che, allo stato, non è dimostrabile in modo positivo, ma che trova spazio proprio perché la perizia ammette di non poter chiarire le modalità e il tempo della deposizione.

Il quadro complessivo

La nuova inchiesta non si ferma al DNA. Terminato l'esame della parte genetica l'udienza di oggi è passata all'ascolto dei periti che si sono occupati della parte dattiloscopica che riguarda le impronte nella villetta e nella spazzatura della villetta di via Pascoli. Il gip di Pavia ha affidato, nei mesi scorsi, ulteriori accertamenti su impronte, supporti e spazzatura raccolta il giorno dell’omicidio nella villetta di Garlasco, materiale che per 18 anni non era mai stato esplorato in profondità. La cosiddetta “Traccia 33”, un’impronta sul muro del cortile attribuita in passato proprio a Sempio, è tornata al centro di uno scontro tecnico tra Procura e parti civili. Si cercano impronte latenti, contatti coerenti, eventuali corrispondenze: qualunque accertamento capace di dare contesto a quel segnale genetico che, da solo, resta ambiguo.

Nel frattempo, la Procura di Pavia ha consolidato un impianto che guarda all’ipotesi di concorso (con Stasi o con ignoti). È un passaggio delicatissimo, perché implica una rilettura dell’intero timeline del 13 agosto 2007: i movimenti in casa Poggi, le comunicazioni, la dinamica delle lesioni, gli orari – a partire da dettagli apparentemente minori come la bevuta di un Estathé che, in alcune analisi difensive e giornalistiche, è stata persino utilizzata come indicatore temporale per discutere la compatibilità di certe versioni con l’ora del delitto. È un mosaico in cui ogni tessera rischia di spostare la percezione complessiva.

La posizione della famiglia Poggi

Nelle aule penali, la famiglia Poggi – assistita dall’avvocato Gian Luigi Tizzoni – mantiene una linea costante: chiedere rigore sugli accertamenti e guardare con diffidenza a qualunque soluzione che sembri una scorciatoia. Non è un mistero che i familiari di Chiara abbiano spesso espresso insoddisfazione per alcuni passaggi delle nuove indagini, in particolare quando hanno ritenuto che certe istanze della parte offesa fossero trascurate rispetto all’attività incentrata sull’indagato e, talvolta, sul condannato. Sulla Traccia 33 e sulla gestione delle perizie il confronto in aula è stato, anche di recente, acceso. È il riflesso di un contesto in cui ogni scelta tecnica pesa simbolicamente come una scelta di campo.

Tra diritto e narrazione pubblica: cosa può succedere adesso

Cosa cambia dopo l’udienza di oggi? In termini tecnici, la relazione Albani entra nel fascicolo con il peso di un elaborato peritale svolto in contraddittorio e sotto il controllo del gip. Il suo messaggio, per quanto privo di fuochi d’artificio, è il vero cardine: la compatibilità con l’aplotipo Y della famiglia Sempio c’è; l’impossibilità di determinare deposito e cronologia pure. Questo vuol dire che la Procura dovrà cercare riscontri esterniimpronte, tracce, testimonianze, movimenti – per provare a trasformare una compatibilità in un indizio e, eventualmente, in una prova.

Sul versante opposto, la difesa di Sempio ha oggi più spazio per sostenere che il dato genetico – così come sta – non supera il test di affidabilità richiesto per sostenere un imputazione. La battaglia, insomma, si sposta sul terreno della corroborazione: senza corpo intorno, il DNA parziale resta un fantasma che indica una famiglia, non una mano.

E Stasi? La sua presenza – discreta, mutacica, ma fortemente simbolica – continua a proiettare sulla vicenda un’ombra lunga. È un diritto esserci quando si discute di atti che potrebbero, in teoria, incidere sulla tua storia giudiziaria; è anche un messaggio di attenzione verso un procedimento che, per molti, è già “finito” ma che, nei tribunali, non è mai davvero finito finché restano domande a cui dare risposte.