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gli scenari

“La linea diretta di Putin”: richieste di pace, accuse su Kiev e il ritorno all’Istanbul del 2022

Nella maratona tv, il presidente russo alterna promesse interne e messaggi all’estero: “Pronti a negoziare, ma alle nostre condizioni”. Sul tavolo tornano i testi di Istanbul e il riconoscimento del 2022 delle repubbliche separatiste. Kiev ribatte: “Nessuna resa territoriale”

Redazione La Sicilia

19 Dicembre 2025, 11:52

11:58

“La linea diretta di Putin”: richieste di pace, accuse su Kiev e il ritorno all’Istanbul del 2022

Una donna in collegamento da una cittadina degli Urali chiede conto del riscaldamento che non arriva. Un agricoltore parla di pezzi di ricambio introvabili. Poi la domanda che tutti attendono: si può fermare la guerra? Nella “linea diretta” di fine anno del 19 dicembre 2025, un rito politico-mediatico che in Russia dura da oltre vent’anni, Vladimir Putin torna a rivolgersi contemporaneamente a cittadini e giornalisti e scandisce il messaggio che vuole far uscire dal Gostiny Dvor di Mosca: la Russia è “pronta al dialogo”, ma i colloqui con l’Ucraina hanno un’unica base accettabile, quella discussa a Istanbul nel 2022, quando si era arrivati a ipotizzare per Kiev una neutralità permanente con garanzie di sicurezza internazionali. Al tempo stesso, ribadisce che “l’Ucraina non ha mostrato disponibilità a concessioni territoriali”, e che qualsiasi intesa passa dal riconoscimento delle realtà che Mosca considera ormai “nuove regioni russe”.

La regia della giornata e il messaggio politico

Il format è noto: migliaia di quesiti filtrati da redazioni e tecnologia, collegamenti dalle regioni, domande in sala da parte della stampa russa e internazionale. Quest’anno la Diretta con Putin si fonde, come già accaduto, con la conferenza stampa annuale, in un’unica maratona televisiva che la TASS aveva annunciato per le 12:00 di Mosca del 19 dicembre, con la possibilità per i cittadini di inviare sms e video fino alla fine del programma. La presenza dei reporter di Paesi “non amichevoli” viene confermata: potranno fare domande come gli altri. Scenografia familiare, obiettivo duplice: rassicurare il pubblico domestico e indirizzare la conversazione internazionale.

Dietro la liturgia televisiva, il sottotesto: la Russia vuole mostrarsi aperta a trattare ma – se le controparti non “capiscono” – continuerà a perseguire i suoi obiettivi militari. Nelle stesse ore, agenzie internazionali riferiscono che Mosca non ritiene Kiev “pronta” alla pace; mentre il Cremlino lascia intendere aperture a contatti con Washington sul dossier. Nel racconto del presidente, la “porta” è socchiusa: si negozia, sì, ma “sulla base dei principi già presentati” e con il riferimento costante agli scambi di bozze di marzo 2022 in Turchia.

Istanbul 2022: cosa c’era davvero in quelle bozze

Il richiamo agli Accordi di Istanbul è diventato un pilastro narrativo del Cremlino. In quelle settimane, tra fine marzo e inizio aprile 2022, delegazioni russa e ucraina discussero una bozza che prevedeva – secondo più ricostruzioni giornalistiche e fonti ufficiali – la neutralità permanente dell’Ucraina, la rinuncia al nucleare, e un meccanismo di garanzie di sicurezza da parte dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (USA, Russia, Cina, Francia, Regno Unito), più altri possibili garanti. Il nodo, già allora, era duplice: i limiti alla difesa ucraina e, soprattutto, la questione territoriale. Per Kiev, accettare una neutralità senza garanzie robuste e immediate avrebbe equivalesse a scoprire il fianco; per Mosca, la condizione era che le nuove realtà territoriali fossero riconosciute o almeno congelate a suo vantaggio. Nel 2025 il Cremlino insiste: quel canovaccio “può essere un punto di partenza”, e sostiene che furono gli ucraini a “ritirarsi dal tavolo”. Kiev replica che si trattava di ultimatum inaccettabili.

Il ritorno su Istanbul non è casuale: serve a legittimare la posizione russa presentandola come la continuazione di una trattativa reale, interrotta dall’altra parte. Nelle parole di Putin e dei suoi negoziatori, il testo preliminare sarebbe stato “quasi pronto”. Tuttavia, con il senno di poi, gli ucraini – anche alla luce delle atrocità emerse a Bucha e dell’evoluzione militare di quella primavera – considerano quelle proposte una resa de facto. Per questo oggi il richiamo alla “bozza” del 2022 è uno strumento politico: ricondurre qualsiasi dialogo a una cornice che avvantaggi il Cremlino e che l’Ucraina rifiuta, perché comporterebbe la rinuncia, esplicita o implicita, a territori internazionalmente riconosciuti come ucraini.

Donetsk e Luhansk: il precedente del 2022 rivendicato da Mosca

Nella linea diretta, Putin “ricorda” anche la decisione russa di riconoscere, il 21 febbraio 2022, la Repubblica Popolare di Donetsk e la Repubblica Popolare di Luhansk come Stati “indipendenti”, preludio all’invasione su larga scala. Quella scelta – ampiamente condannata in Occidente come violazione del diritto internazionale e degli Accordi di Minsk – è per il Cremlino la pietra angolare di una nuova realtà territoriale alla quale Kiev dovrebbe adeguarsi. La cornice è nota: a settembre 2022 si tengono i referendum di annessione in quattro regioni occupate (Donetsk, Luhansk, Kherson, Zaporizhzhia), respinti dalla comunità internazionale come privi di legittimità. Oggi Mosca li considera irreversibili e, nell’ottica russa, requisito di qualsiasi intesa.

Di fronte a questa impostazione, la posizione ucraina è rimasta coerente: nessuna concessione territoriale su aree riconosciute come Ucraina sovrana dal diritto internazionale. Il principio, ribadito dalla leadership di Kiev, è che un eventuale accordo non può consacrare annessioni o occupazioni armate. Da qui lo stallo: se per Mosca la “pace” passa dalla accettazione del nuovo status dei territori, per Kiev la “pace giusta” richiede il ripristino dell’integrità territoriale, compresa la Crimea.

Cosa ha detto Putin sul campo e sull’economia

Sul fronte militare, Putin ha parlato di “iniziativa strategica” in mano russa e di progressi lungo il fronte, messaggio indirizzato tanto agli interlocutori esterni quanto all’opinione pubblica interna. La guerra “continuerà fino al raggiungimento degli obiettivi”, ha ribadito, tornando a elencare condizioni che Kiev giudica irricevibili: riconoscimento del controllo russo sulle quattro regioni annesse, rinuncia alla NATO, limiti alla forza militare ucraina e status per la lingua russa. Già nelle ore precedenti, agenzie e media internazionali avevano anticipato il leitmotiv: Mosca “pronta al dialogo” ma alle sue condizioni.

C’è poi il capitolo economia. Il presidente ha definito il “raffreddamento” del 2025 una scelta “consapevole” per domare l’inflazione, assicurando che lo Stato può finanziare integralmente i bisogni militari anche con una crescita in calo rispetto al 2024. È un punto sensibile: le voci sul costo della guerra, l’impatto delle sanzioni e la pressione sul bilancio sono entrate nelle domande di cittadini e giornalisti. Il Cremlino rivendica stabilità e resilienza; i critici notano squilibri, aumento dell’inflazione negli anni precedenti e segnali di affaticamento del tessuto produttivo. Nella grande liturgia annuale, il quadro è quello di un’economia che “resiste” e di uno Stato che promette di reggere tanto il fronte interno quanto quello militare.

Kiev e gli alleati: perché le condizioni russe restano inaccettabili

Dall’altra parte del fronte, la risposta ucraina non cambia: la “formula di pace” di Volodymyr Zelensky – ritiro delle truppe russe, sicurezza alimentare ed energetica, giustizia per i crimini di guerra, integrità territoriale – resta l’unico percorso legittimo. Sul tema Istanbul, Zelensky ha smentito le tesi secondo cui la Ucraina sarebbe stata “convinta” da leader occidentali a rifiutare un accordo nel 2022: non c’era, sostiene, un testo accettabile che non equivalesse a capitolazione. E soprattutto, la realtà sul terreno – dal ritiro russo da Kyiv al trauma di Bucha – aveva cambiato i presupposti. I negoziatori ucraini hanno ribadito più volte che quella bozza, al netto delle discussioni su neutralità e garanzie, non affrontava in modo equo la dimensione territoriale e le sicurezze operative.

Gli alleati occidentali restano formalmente allineati nel sostegno a Kiev. Nel 2025 gli Stati Uniti hanno provato a rilanciare un percorso di cessate il fuoco e di “garanzie tipo Articolo 5” senza però sciogliere il nodo cruciale: i confini. Se le bozze di Istanbul tornano ciclicamente nel discorso pubblico, è perché offrono l’illusione di una scorciatoia. Ma senza un’intesa sulla sovranità delle aree contese, il rischio è quello di crisi congelate che rinviano lo scontro, non lo eliminano.

“Nessuna concessione territoriale”

Cosa implica, nella pratica, la frase che Putin ha ripetuto nella linea diretta – “Kiev non è pronta a concessioni territoriali”? Significa che Mosca continua a leggere le resistenze ucraine come ostacolo alla pace, rovesciando la prospettiva: per la Russia la sicurezza è data dall’aver spostato il confine e consolidato aree cuscinetto; per Kiev la sicurezza è l’opposto – recuperare sovranità e confini al 1991. Questo gomito a gomito, che tiene l’Europa in allarme da quasi quattro anni, è il punto più difficile da sciogliere anche in un eventuale cessate il fuoco: cosa resta sotto quale amministrazione, quali forze armate o di polizia presidiano, quali garanzie si attivano se una parte ritiene l’altra inadempiente. Nelle ultime settimane, dal Cremlino sono arrivate anche ipotesi di “sicurezza con Rosgvardija” nelle aree contese in caso di accordo, un’idea che per Kiev significherebbe di fatto occupazione sotto altro nome.

Perché la “linea diretta” conta ancora

Nel contesto della politica russa, la linea diretta non è una semplice conferenza stampa: è un dispositivo di legittimazione. Il presidente risponde ai problemi di strade, ospedali, pensioni, e insieme detta la cornice strategica su guerra, sanzioni, rapporti con gli Stati Uniti e l’Europa. Il messaggio del 19 dicembre 2025 è calibrato: all’interno, fermezza e promessa di stabilità; all’esterno, disponibilità a parlare ma con paletti che coincidono con gli obiettivi di guerra. Tra le righe affiora anche la fiducia mediatica del Cremlino nel poter vincere la competizione narrativa, ribadendo che “la Russia non ha mai rifiutato i negoziati” e che “sono stati gli altri a spezzare i canali”. È una linea che dà coerenza alla strategia diplomatica russa del 2025: riportare le discussioni formali o informali dentro la gabbia di Istanbul.

Gli spazi possibili per la diplomazia

C’è tuttavia un fatto nuovo: nelle stesse ore del botta e risposta mediatico, Mosca e Washington esplorano contatti, mentre in primavera e in estate si sono riaperti canali indiretti con mediazioni turche e mediorientali. A maggio si sono visti tentativi – falliti – di diretti faccia a faccia a Istanbul, senza esito sul cessate il fuoco ma con accordi puntuali sui prigionieri. È un indizio: quando il dossier si riduce a misure umanitarie o scambi, la trattativa funziona; quando si passa ai confini, si torna al muro contro muro. Perché la diplomazia riparta, servirà definire una sequenza credibile: garanzie di sicurezza, meccanismi di verifica, e soprattutto una formula sul territorio che, almeno in una fase transitoria, riduca la violenza senza cristallizzare il fatto compiuto.