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IL PROVVEDIMENTO

Cannabis light, il governo fa marcia indietro: torna la vendita, ma con una maxi imposta. Poi il dietrofront

Un emendamento di Fratelli d’Italia riapre alla commercializzazione delle infiorescenze a basso THC, sotto l’ombrello dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e con un’imposta di consumo del 40%. Tra tassazione, divieti e autorizzazioni, ecco cosa prevede la proposta e quali effetti può produrre su imprese e consumatori.

Alfredo Zermo

04 Dicembre 2025, 19:27

23:10

Cannabis light, il governo fa marcia indietro: torna la vendita, ma con una maxi imposta. Cosa cambia davvero

È l’ora di punta in una tabaccheria del centro. Tra ricariche telefoniche e gratta e vinci, una cliente chiede: “Avete la light?”. Il tabaccaio scrolla le spalle: “Vietata”. Oggi, però, la risposta potrebbe cambiare di nuovo. Un emendamento targato Fratelli d’Italia mette sul tavolo un’inversione a U rispetto al divieto introdotto dal decreto Sicurezza: la cannabis light potrebbe tornare sugli scaffali — ma a condizioni molto stringenti e con una fiscalità da prodotto di lusso. La misura ridisegna di fatto il perimetro della legge sulla canapa del 2016 e punta a riportare sotto il controllo dello Stato l’intera filiera retail, affidando a Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (ADM) regole, autorizzazioni e vigilanza. In cambio, i rivenditori pagherebbero un’imposta di consumo del 40% sul prezzo al pubblico dei prodotti con THC non superiore allo 0,5%, destinati all’inalazione senza combustione. Un passaggio politico non banale, a pochi mesi dall’entrata in vigore delle norme che avevano vietato infiorescenze, estratti, resine e oli, ora sotto esame della Corte costituzionale.

Cosa prevede l’emendamento di FdI

  1. Il testo, firmato dal senatore di Fratelli d’Italia Matteo Gelmetti, amplia l’ambito della legge sulla canapa del 2016, includendo anche “infiorescenze fresche o essiccate e derivati liquidi” destinati a “uso da fumo o da inalazione”, purché il contenuto di THC non superi lo 0,5%.
  2. Per questi prodotti si introduce un’“imposta di consumo” pari al 40% del prezzo di vendita al pubblico. È un’aliquota che, per intensità, si avvicina alla logica fiscale applicata ai tabacchi, con l’effetto di alzare significativamente il prezzo finale.
  3. La vendita sarebbe consentita solo a tabaccai e punti vendita specializzati già esistenti, previa autorizzazione di ADM, che definirebbe requisiti e modalità di approvvigionamento.
  4. Resterebbero in vigore i paletti tipici dei prodotti assimilati ai tabacchi: divieto di vendita ai minorenni, di pubblicità, di vendita a distanza e attraverso distributori automatici; obbligo di avvertenze sanitarie sulle confezioni; rispetto dei divieti dove non si può fumare.

In sostanza, lo Stato non solo riapre la porta alla cannabis light, ma la incardina nel perimetro dei prodotti regolati da monopolio e accise: un ritorno “legale”, ma costosissimo per rivenditori e clienti.

Un colpo di spugna all’articolo 18 del decreto Sicurezza?

La proposta di FdI riscrive, o meglio neutralizza, gli effetti più controversi dell’articolo 18 del decreto Sicurezza (D.L. n. 48/2025, in vigore dal 12 aprile 2025 e convertito a giugno), che aveva vietato in blocco importazione, lavorazione, commercio, trasporto, consegna e vendita al pubblico delle infiorescenze di canapa e dei loro derivati, equiparandone di fatto il trattamento sanzionatorio a quello previsto dal Testo unico sugli stupefacenti. Quelle norme hanno prodotto sequestri, contenziosi e un clima d’incertezza interpretativa, mentre il settore denunciava effetti economici gravi.

Non è un caso che, proprio nelle ultime settimane, il gip di Brindisi abbia rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità dell’articolo 18, contestando l’estensione del divieto alle infiorescenze a basso THC e sollevando dubbi anche sulla coerenza del decreto con i limiti costituzionali d’urgenza. È un passaggio che potrebbe incidere sull’assetto futuro della disciplina.

Perché la soglia dello 0,5% di THC è cruciale

La soglia proposta — 0,5% di THC — è superiore a quella agronomica europea per la canapa industriale, ma è frequentemente richiamata nel dibattito come limite oltre il quale aumentano i rischi d’“efficacia drogante”. L’emendamento lega la liceità non al contenuto di CBD (non stupefacente), ma al tetraidrocannabinolo. La scelta di un tetto univoco semplifica i controlli e allinea la filiera retail alla logica di prova analitica sul principio attivo, già al centro di molte pronunce che, negli ultimi mesi, hanno chiesto di verificare l’effettiva capacità drogante dei prodotti prima di disporre sequestri.

Chi potrà vendere e con quali regole

Sarebbero ammessi alla vendita i tabaccai e i “punti vendita specializzati esistenti”, ma solo dopo autorizzazione di ADM. Questo impianto implica almeno tre conseguenze:

  1. Tracciabilità e controlli. Con ADM regista del comparto — come per i tabacchi — filiera e approvvigionamenti sarebbero tracciati, i lotti certificati, gli standard di etichettatura e confezionamento fissati a livello centrale. Una scelta che tutela la salute pubblica e limita il mercato grigio, ma alza i costi di compliance.
  2. Mercato selettivo. Il filtro autorizzativo restringe la platea dei rivenditori. Molti piccoli shop nati nel boom della light rischiano di non rientrare nei requisiti richiesti per i “depositi fiscali” o le nuove licenze.
  3. Divieti stringenti. Niente e-commerce, niente distributori: una scelta in linea con il modello antitabacco che, però, penalizza un segmento in cui la vendita online pesava in modo decisivo, specie dopo i divieti del 2025.

La super-tassa al 40%: quanto costerà al consumatore

L’“imposta di consumo” del 40% sul prezzo di vendita è il cuore politico della proposta. Tradotta in pratica, una confezione da 20 euro potrebbe arrivare a costarne 28 prima di IVA e altri oneri, rendendo la light un prodotto sensibilmente più caro rispetto al periodo pre-divieto. Per i rivenditori, il margine si assottiglia; per i consumatori, l’acquisto diventa meno accessibile, con il rischio di alimentare un circuito informale. Le associazioni di categoria parlano di “supertassa” che trasformerebbe la light in un bene quasi di lusso.

Dal punto di vista erariale, l’imposta rappresenta una nuova voce di gettito e un segnale politico: si può vendere, ma a condizioni onerose e sotto forte regolazione pubblica. È l’approccio del “monopolio di Stato” evocato da più osservatori: tutela, controllo, incassi.

La cornice giudiziaria ed europea: tra Consulta e Lussemburgo

Mentre la politica ridisegna le regole, i giudici si muovono su due livelli:

  1. Costituzionale. Il rinvio dell’art. 18 alla Consulta da parte del gip di Brindisi chiama i giudici costituzionali a valutare la compatibilità del divieto totale sulle infiorescenze con principi come ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza dello strumento penale. L’ordinanza si inserisce in un filone di decisioni di merito che, talvolta, hanno disposto dissequestri proprio per l’assenza di “efficacia drogante” dimostrata.
  2. Europeo. La VI Sezione del Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’UE due questioni pregiudiziali sulla compatibilità dei divieti nazionali con la libertà di circolazione delle merci e con la cornice UE sulla canapa industriale. È un fronte che potrebbe incidere sui margini regolatori dello Stato e sull’uso e la commercializzazione di foglie, infiorescenze ed estratti a basso THC.

Imprese, posti di lavoro e fatturato: i numeri in gioco

Dietro la parola “light” c’è una filiera composita: agricoltori, trasformatori, distributori, rivenditori. Le stime variano, ma convergono su un ordine di grandezza consistente:

  1. Secondo associazioni di settore e analisi di stampa, in Italia operano circa 3.000 imprese legate alla canapa, con 10.000 addetti stabili e fino a 30.000 stagionali; il giro d’affari complessivo può attestarsi attorno ai 500 milioni di euro l’anno, con una quota export fino al 70% della produzione.
  2. In alcune regioni, come l’Umbria, la filiera vale fino a 50 milioni di euro e circa 1.000 posti di lavoro, con un tessuto imprenditoriale giovane e a prevalenza under 40.

Per molti operatori, il ritorno alla legalità della light — seppure regolamentata — può riaprire canali commerciali e rimettere in moto investimenti sospesi dal 12 aprile 2025, data di entrata in vigore del divieto. Ma la maxi-imposta e i nuovi oneri autorizzativi rischiano di erodere la redditività, specie per le piccole aziende.

Il contesto internazionale: l’eccezione italiana e il confronto con l’Europa

Mentre l’Italia oscillava tra liberalizzazione e divieto, altri Paesi europei hanno imboccato strade diverse. La Germania ha depenalizzato il possesso e introdotto i “club sociali” per l’uso ricreativo; altri come Malta e Lussemburgo hanno aperto a modelli regolati. Al contrario, Roma ha scelto nel 2025 la stretta sulle infiorescenze, in controtendenza rispetto a un mercato europeo in cui la canapa industriale e i prodotti CBD rappresentano segmenti in crescita. La proposta FdI prova a ricucire, tornando a consentire la commercializzazione della light ma sotto un regime para-monopolistico e con tassazione elevata. Un compromesso che parla alla maggioranza e al contempo tenta di disinnescare i rilievi della giurisprudenza interna ed europea.

Chi vince e chi perde con la nuova impostazione

  1. Lo Stato. Porta a casa un nuovo gettito e riporta la filiera nell’alveo dei prodotti regolati, con ADM in cabina di regia. Vince in termini di controllo e standardizzazione.
  2. I consumatori. Riguadagnano accesso legale a prodotti a THC ≤ 0,5%, ma a prezzi più alti e senza canali online. La fruizione resta confinata alle regole antifumo e alle avvertenze sanitarie.
  3. Le imprese. Rivedono la prospettiva di tornare sul mercato, ma a fronte di costi e vincoli maggiori: licenze, confezionamento, accise, divieti pubblicitari. Per i piccoli, la barriera all’ingresso potrebbe risultare proibitiva; per i tabaccai, è un nuovo segmento commerciale.

Le prossime tappe parlamentari e gli scenari

L’emendamento è inserito nel pacchetto alla Manovra e dovrà superare il vaglio delle Commissioni e dell’Aula. Fino ad allora, resta pienamente in vigore l’articolo 18 del decreto Sicurezza, come ha ricordato, tra gli altri, anche la comunicazione istituzionale del Dipartimento politiche antidroga a proposito di recenti ricorsi. Se la modifica passerà nel testo finale della legge di bilancio, la riapertura regolata della light potrebbe scattare già con l’entrata in vigore della Manovra. In parallelo, sarà decisivo l’esito del giudizio della Consulta e, più avanti, le risposte della Corte di Giustizia alle questioni pregiudiziali sollevate dal Consiglio di Stato.

Oltre la light: perché serve una strategia di filiera

Più che una bandierina ideologica, la canapa industriale è una filiera agroindustriale dai molteplici impieghi: alimentare, tessile, edile, cosmetico, bio-compositi. Nel 2025 il Masaf ha annunciato la riattivazione del Tavolo di filiera per un piano settoriale che valorizzi tutte le potenzialità della pianta. Se il Parlamento approverà una riapertura vigilata della light, il passo successivo dovrà essere la chiarezza normativa lungo tutta la catena del valore: criteri analitici condivisi, standard di qualità, regole di etichettatura, formazione per i controllori. La certezza del diritto è la prima condizione per far crescere un comparto che, a livello globale, registra dinamiche di mercato in forte espansione.

Che cosa deve sapere, da subito, chi compra e chi vende

  1. Fino a nuova legge, è vietata la vendita di infiorescenze e derivati. Il quadro del decreto Sicurezza è operativo dal 12 aprile 2025 ed è stato convertito in legge a giugno.
  2. Se l’emendamento FdI sarà approvato, torneranno in commercio prodotti con THC ≤ 0,5% destinati all’inalazione senza combustione, ma solo in tabaccheria e in negozi autorizzati da ADM.
  3. Su ogni confezione saranno presenti avvertenze sanitarie; resteranno i divieti di pubblicità, e-commerce, distributori e vendita ai minori.
  4. I prezzi saliranno: il prelievo del 40% sul prezzo al pubblico inciderà in modo sensibile sullo scontrino.

Il punto politico

Per la maggioranza guidata da Giorgia Meloni, l’emendamento è un modo per disinnescare una partita diventata scivolosa: da un lato, la promessa di “tolleranza zero” verso le droghe; dall’altro, una filiera produttiva che chiede regole chiare e la giurisprudenza che, caso per caso, ha messo in discussione il divieto assoluto. La soluzione “regolamentare e fiscale” consente di rivendicare controllo, tutela dei minori e gettito, senza smentire apertamente l’impianto securitario. Saranno i numeri — prezzi, vendite, contenziosi — a dire se la rotta è sostenibile.

In definitiva, la cannabis light potrebbe tornare legale in Italia, ma dentro una cornice di monopolio, licenze, divieti e accise. Lontanissima dall’idea di liberalizzazione, vicina a quella di un prodotto vigilato e tassato come i tabacchi. Per chi sperava in una normalizzazione definitiva, è una porta socchiusa. Per chi temeva un Far West, è una griglia stringente. Per tutti, è il segno che il pendolo politico-giuridico sulla canapa non ha ancora trovato il suo punto d’equilibrio.

L'Ultimo aggiornamento

In serata alcune fonti governative hanno fatto sapere che l’emendamento sulla cannabis light, che introduce anche una tassazione del 40% sulla vendita dei prodotti, sarà ritirato. Dando un'idea del caos che regna nel governo su questo tema.